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Milano, laorà e architettura: i luoghi del lavoro nella città dove produrre è sacro

Milano — 22 febbraio 2023 AUTORE: Giorgia Martini

A Milano il lavoro è un fluido e lo spazio cambia per adattarsi alle nuove forme del lavorare: dal centro novecentesco ai grattacieli, dalla Torre Unipol fino ai coworking che ripensano le periferie

A Milano non esiste un sostantivo per la parola ‘lavoro’, ma solo il verbo: laorà

A Milano lavorano 2,2 milioni di persone. Per la città il lavoro non è storicamente un concetto speculativo: diritto, condanna, qualcosa per cui lottare o di cui dibattere, il lavoro ha sempre avuto natura verbale, perché è da sempre movimento costante. Lo era nella Milano città operaia e per molti versi lo è ancora oggi che gli operai delle fabbriche sono stati sostituiti dai nuovi operai, con le mani meno usurate ma con i portafogli altrettanto leggeri. La realtà plasma ed è plasmata dalla lingua, per questo forse in milanese non esiste un sostantivo per la parola lavoro, ma soltanto un verbo: laorà,come racconta Paolo Cognetti nel suo contributo per il The Passenger dedicato a Milano, edito dalla casa editrice Iperborea, da poco in libreria.

Milano e la sua forza attrattiva mai messa in discussione; Milano e il rapporto con i suoi lavoratori, un distacco simile a quello fra dipendente e datore di lavoro

Nella città dei contatti, delle relazioni, degli scambi casuali meticolosamente studiati, quando si incontra qualcuno per la prima volta, la domanda «e tu di cosa ti occupi?» è spontanea, gesto irriflesso dalle corde vocali. Una serie di lettere che verbalizzano una forma mentis. E nonostante le fatiche fisiche e mentali alle quali la City italica per eccellenza costringe, la sua forza attrattiva non è mai messa in discussione. È come se le venisse riconosciuto di essere una città ideale in potenza, che aristotelicamente diventerà prima o poi atto.

Persiste al contempo un distacco fra Milano e i suoi lavoratori, un po’ come quello che, nell’immaginario collettivo, esiste fra dipendente e datore di lavoro. Una disaffezione verso una città percepita come inospitale, che pregiudica il radicamento, che spinge al consumo e ad essere consumata. Una lontananza testimoniata in modo evidente dall’esodo di massa che ha svuotato la città durante la pandemia, ma anche più banalmente dalla fuga del fine settimana, quando fiumi di auto invadono le tangenziali esterne, per poi rientrare la domenica sera.

I dati ISTAT su Milano: 309 mila le attività economiche attive, 94,5 imprese ogni 1000 abitanti, la più alta concentrazione in Italia di multinazionali, società quotate, headquarter di brand nazionali e internazionali.

Secondo i dati ISTAT sul 2021 sono 309 mila le attività economiche attive a Milano. 94,5 imprese ogni 1000 abitanti. Più di un terzo sono ditte individuali e l’89,8% ha meno di dieci addetti. Ma c’è anche la più alta concentrazione in Italia di strutture medio-grandi, con multinazionali, società quotate, headquarter di brand nazionali e non. La Lombardia è anche la prima regione per numero di freelance, che in Italia sono circa 5 milioni, quota che si distingue anche rispetto alla media europea. Milano continua così a prendere architettonicamente forma, in modo coerente con i molteplici volti del lavoro di oggi. Spiega Tiziana Villani, Direttrice della rivista di filosofia, estetica e architettura Millepiani: «Le professioni contemporaneeprevedono tempi e usi della città diversi, più transitori, più labili, che inevitabilmente modificano l’uso dello spazio urbano e del territorio».

La nuova Torre Unipol progettata da Mario Cucinella, il progetto di campus dedicato al lavoro dello Studio Asti Architetti a Parco Sempione e l’ufficio biofilico dello Studio Kengo Kuma Associates

Se si pensa al binomio lavoro-Milano, l’immaginario comune rimanda quasi automaticamente allo skyline meneghino più stereotipato: file infinite di finestre sempre illuminate, che viste dalla strada sono così piccole che gli uffici dietro sembrano le stanze in serie di una casa delle bambole. Ad alimentare quell’immaginario, dal 2023 ci sarà la Torre Unipol, progettata da Mario Cucinella, che con 23 piani di uffici e un auditorium completerà il piano di rigenerazione urbana dell’area di Porta Nuova. Il 2023 sarà anche l’anno del nuovo progetto a Parco Sempione dello Studio Asti Architetti, un campus dedicato al lavoro considerato avveniristico, che parte da una costruzione esistente di due piani, ai quali ne sono stati aggiunti altri tre, raggiungendo un’altezza coerente e omogenea con gli edifici adiacenti.

Serve invece attendere il 2024 per l’inaugurazione del tanto atteso ufficio biofilico, dello Studio Kengo Kuma Associates: il progetto Welcome, feeling at work prosegue il filone di pensiero, già sperimentato a Milano, che sceglie la sostenibilità ambientale come motore trainante delle realizzazioni architettoniche. L’obiettivo è conciliare la qualità della vita dei lavoratori con l’integrazione dell’elemento naturale, sfruttando al massimo la capacità delle piante di purificare l’aria e creare un ambiente confortevole.

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Desk tiwi studio, progetto 3l studio architettura, foto riccardo gilioli

L’estetica ‘classica’ del lavoro milanese: piazza Cordusio e la sede di Generali, gli edifici di uffici su piazzale Cadorna, via Carducci e Sant’Ambrogio e gli studi di avvocati, notai e commercialisti

Ma pensare agli uffici milanesi, può anche voler dire avere davanti agli occhi i palazzi storici delle zone più sofisticate: le realizzazioni di inizio Novecento in piazza Cordusio, con la loro estetica monumentale, come la sede di Generali, oppure le schiere di edifici che affacciano su piazzale Cadorna e da lì, passando per via Carducci, conducono fino a Sant’Ambrogio. Sui campanelli di quelle vie signorili si leggono altisonanti nomi di studi di avvocati, notai, commercialisti, qualche analista e i pochi residenti superstiti.

Negli ultimi anni però il lavoro e la sua tradizionale forma architettonica sono oggetto di discussione, soprattutto intergenerazionale, per molte ragioni. Una su tutte è la sua natura ancora novecentesca, poco compatibile con i cambiamenti radicali, tecnici e culturali che hanno coinvolto il mondo fin dall’inizio del nuovo millennio. La forza catalizzatrice che continua ad attrarre lavoratori a Milano si alimenta in gran parte grazie alle nuove forme di lavoro, che sono quelle che non possono trovare spazio nella metratura di un ufficio standard, per quanto estesa e collocata all’ottavo piano di un palazzo in Gae Aulenti.

Il tentativo architettonico di assecondare il lavoro alle esigenze del lavoratore: gli spazi di zona Tortona, da BASE all’ex area industriale Tortona 37 riprogettata dallo studio Matteo Thun & Partners

Il tentativo architettonico di assecondare il lavoro alle esigenze del lavoratore di questo secolo è evidente in molti degli spazi in zona Tortona, uno degli epicentri del design e della moda, simbolo della Design Week, considerato il quartiere dei creativi a Milano. BASE è uno dei luoghi emblematici in questo senso: gli ambienti di lavoro confinano e si mescolano con le aree dedicate agli eventi, e diventano, a seconda del momento, spazi espositivi per la comunità eterogenea che li abita. Più istituzionale, ma altrettanto in linea con il nuovo modo di concepire il lavoro, è l’ex area industriale Tortona 37, riprogettata dallo studio Matteo Thun & Partners, con i suoi 5 edifici disposti a corte su un ampio giardino alberato, tutti a pianta flessibile, con open space alternati a zone soppalcate.

Tiziana Villani, Direttrice di Millepiani: per colmare la distanza fra Milano e i suoi lavoratori non bastano spazi di coworking all’avanguardia, serve coltivare dimensione sociale e collettiva; l’esempio di DOPO? in zona Corvetto

Come ci spiega però sempre Villani, «Per ricucire il rapporto con il territorio, perché i nuovi spazi di lavoro siano un’occasione reale per colmare la distanza fra Milano e i suoi lavoratori, per creare un legame fra le persone e la città, che vada oltre l’imperativo del lavoro, non bastano spazi di coworking all’avanguardia, serve coltivare l’interazione con l’esterno, la dimensione sociale e collettiva, serve vivere gli spazi e promuovere iniziative comuni».

Lo spazio di DOPO?, in zona Corvetto, costituisce un esempio virtuoso in tal senso: uno coworking ideato da un gruppo di architetti e designer, che ha recuperato un’ex officina e che cerca di ricostruire un legame con il territorio. Il progetto parte da una riflessione pratica sulle nuove forme del lavoro, in particolare di quello autonomo, per favorire l’interazione e la collaborazione non solo fra professionisti, ma anche con l’ambiente circostante. Un intento che diventa evidente osservando l’organizzazione degli spazi interni ed esterni, ampi e aperti, e le sedute e la configurazione dei tavoli che può essere facilmente modificata, per creare un luogo adatto alla condivisione di idee, pensieri, progetti.

Condividere, mettere in rete, riconsiderare le periferie: HUG Milano a Nolo

Condividere, mettere in rete, riconsiderare le periferie è quello che accade in luoghi meno strutturati degli hub in Tortona, ma che cercano di interpretare le esigenze e i desideri di studenti e lavoratori, partendo dalle caratteristiche dei singoli quartieri. In zona Nolo, HUG Milano nasce nella corte di un’antica fabbrica di cioccolato e si propone come luogo di rigenerazione urbana: uno spazio per lavorare, una ciclofficina, che offre anche servizi di portierato di quartiere, dove nel fine settimana si propongono serate di musica e spettacoli.

Una direzione che sembra accogliere l’auspicio di Villani, quando su Il Manifesto scriveva: «Le culture innovative volte ad apprendere la condivisione e a rimetterla in rete devono ripartire dall’area metropolitana periferica e investire i quartieri gentrificati. Non penso a una città più smart, slogan che significa poco, ma a una città che riapre i suoi portoni nobiliari, offre i suoi giardini, a una città che abbatte le recinzioni che delimitano i quartieri popolari per creare le nuove piazze delle relazioni».

Nella città dei freelance anche bar, caffè, bistrot sono luoghi del laorà: Upcylce in zona Lambrate, Combo in zona Navigli o il Madama Hostel vicino a Fondazione Prada

Con estetiche e narrazioni differenti, ma con un intento comune, anche tutti i bar, caffè, bistrot, che ogni giorno si riempiono di lavoratori autonomi. Posti come Upcylce in zona Lambrate, dove il gusto nordic aesthetic e le biciclette appese accolgono attorno a lunghi tavoli in legno, pensati per la condivisione, studenti e lavoratori. Gli stessi che si possono trovare al Combo in zona Navigli, una vera e propria serra, un giardino tranquillo dove in primavera e d’estate si può lavorare comodamente seduti all’ombra, o al Madama Hostel vicino a Fondazione Prada, che si definisce uno smart hub per freelance che non amano la solitudine.

Questi nuovi luoghi di lavoro nascono dal recupero di vecchi luoghi di lavoro: ex fabbriche, aree industriali, costruzioni di una vecchia Milano, produttiva nel senso più stretto del termine. Ritrovare e ripensare quegli spazi alla luce del modo in cui ora si pensa e si vorrebbe praticare il lavoro è il primo passo verso una riappropriazione del territorio, e testimonia una volontà – più o meno consapevole – di riplasmare l’anima della Milano del laorà, modellando l’ambiente per indirizzare e canalizzare quel movimento incessante, per condurlo e non esserne travolti.

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Spazio condiviso tiwi studio, 3l studio architettura, foto riccardo gilioli

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Tiwi studio, progetto 3l studio architettura, foto riccardo gilioli





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© Fuorisalone.it — Riproduzione riservata. — Pubblicato il 22 febbraio 2023