“I designer sono coloro che sanno immaginare e progettare nuovi mondi possibili”: come ritualizzare il cambiamento secondo l’antropologo e docente di cultura del design che affronta il tema della separazione tra natura e cultura nel suo ultimo libro, rivelando che la progettazione potrebbe stare al centro di molte di queste riflessioni.
Uno degli atteggiamenti più negativi che caratterizzano la contemporaneità è "aspettare che qualcuno faccia qualcosa per noi". Così Andrea Staid - antropologo, scrittore e docente di cultura del design - propone un cambio di paradigma nella relazione con la natura, "una teoria che possa diventare una pratica di vita", e in cui il design può avere un ruolo fondamentale grazie alla sua capacità di immaginare nuovi modi possibili di abitare questo pianeta.
Il suo ultimo libro, Essere Natura, offre uno sguardo antropologico per cambiare il rapporto con l'ambiente, un testo che lascia affiorare nuove modalità di affrontare la catastrofe climatica attraverso alternative di vita non antropocentriche.
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Staid ha passato molto tempo ad indagare gli stili di vita dei popoli che si concepiscono come parte integrante della natura, e non come qualcosa di esterno e superiore da porre al centro del cosmo. Ha viaggiato in molti paesi dall’Asia alle Americhe e svolto ricerca sul campo nel sudest asiatico.
"Mentre scrivo questo libro, in Italia e altrove si scatenano incendi devastanti, le fiamme divorano foreste e distruggono case, la siccità inizia a preoccupare seriamente tutti, e contemporaneamente assistiamo a violenti alluvioni che causano frane, crolli e morti. Tutto questo non è casuale, ma è il risultato di uno stile di vita che ha caratterizzato la nostra specie negli ultimi tre secoli", scrive.
Quando iniziò la ricerca etnografica sulle popolazioni native dei luoghi in cui si addentrava, soprattutto del sudest asiatico, si chiese però come l'antropologia potesse contribuire al dibattito attorno al cambiamento climatico. La risposta probabilmente sta nel fatto che descrivere altri stili di vita, di altre culture che erroneamente abbiamo considerato primitive o selvagge, può aiutare a farcele vedere come possibilità con cui possiamo relazionarci, condividere, scambiare, pensare e quindi trovare soluzioni possibili.
“Credo che sia giunto il momento di decentrare il nostro sguardo attraverso quello che chiamo l'ecologia dell'ascolto e del racconto. Penso che dovremmo gettare le basi per trovare nuove risposte alla crisi climatica, considerando che non tutte le culture umane concepiscono la natura come qualcosa di separato dall'umano, ma si sentono parte integrante della natura.”
La visione antropocentrica che separa gli esseri umani dalla natura e che pone l'homo sapiens in posizione superiore rispetto a tutto ciò che lo circonda non solo ha portato, secondo Staid, alla distruzione della terra e degli altri esseri viventi, ma è stato uno dei motori del colonialismo e di ciò che ha distrutto tutto ciò che era vicino alla natura, “quel momento triste e noto di espansione e conquista che, oltre a occupare militarmente la terra, rubare le risorse, colonizzare territori attraverso la violenza, ha cambiato la cosmogonia dei popoli nativi.”
Staid affronta anche il tema del design sostenibile, suggerendo che il cambiamento deve iniziare con piccole azioni quotidiane. Invita a una maggiore consapevolezza riguardo all’utilizzo dei beni di consumo e invita ad una ritualizzazione del cambiamento, sottolineando che milioni di persone impegnate in piccole azioni possono portare a cambiamenti significativi.
“Dobbiamo scoprire un altro modo di vivere nella pratica quotidiana, un modo, tanti modi che tengano conto di nuove relazioni con il nostro intorno. Ci sono tante altre vie possibili rispetto a quella dello sviluppo senza limiti in un pianeta limitato, che partono proprio da una riconcetualizzazione del nostro posto nel mondo come specie. E un altro modo di vivere significa anche iniziare dalle piccole cose fino alle più grandi. Sicuramente è importante intervenire a livello macro su piani legislativi per fermare i grandi inquinatori, ma allo stesso tempo dobbiamo cercare di coltivare una capacità di resistenza individuale anche nella vita quotidiana. Se vado a fare la spesa, cerco prodotti con il minor quantitativo di plastica possibile, perché anch'io devo apportare questo cambiamento nella mia vita. E dobbiamo pensare al modo corretto di utilizzare l'acqua. È incredibile che andiamo ancora in bagno nelle nostre case e ogni volta che scarichiamo utilizziamo l'acqua potabile, bene prezioso che la maggior parte delle persone nel mondo non ha (pensiamo alla recente crisi idrica in Spagna). Siamo andati sulla luna con le navicelle spaziali e ancora non abbiamo un sistema di riciclo dell'acqua nelle nostre case? E queste sono solo piccole cose, ma se milioni di persone le fanno, diventano molto importanti. E voglio menzionare anche il trasporto, perché il mezzo di trasporto più ecologico non è l'auto elettrica - che è migliore di quella a combustibile fossile - ma il miglior mezzo di trasporto in città è il trasporto pubblico, che ovviamente deve essere di buona qualità. Il cambiamento deve essere comunitario, non può essere solo individuale. Sono convinto che una sfida importante sia quella di tornare ad avere capacità immaginativa, viviamo in una società aggressiva e competitiva dove veniamo cresciuti fin da quando siamo piccoli a svariate asimmetrie quali; uomo/donna, autoctono/straniero, civilizzato/primitivo, sviluppato/arretrato che bloccano la nostra capacità di immaginare e di vivere in modo differente. L'immaginazione per la costruzione dell’avvenire ha un ruolo fondamentale perché ci aiuta a risolvere problemi, a interpretare dati, a progettare ricerche e a formulare ipotesi, e a conquistare nuove conoscenze e a vedere le mille possibilità che abbiamo di vivere in una comunità ecologica. Dal mio punto di vista i designer sono proprio quelle persone che sanno immaginare e progettare nuovi mondi possibili”.
Andrea Staid offre quindi una prospettiva provocatoria su come affrontare la crisi climatica, incoraggiando una riflessione profonda sul nostro rapporto con la natura e proponendo azioni concrete per abbracciare uno stile di vita molto più consapevole: “l’attitudine ecologica non è un pensiero di rinuncia, ma una grande possibilità per vivere meglio, ‘guadagnare’ tempo, libertà, autonomia, capacità e saper fare”.
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© Fuorisalone.it — Riproduzione riservata. — Pubblicato il 16 febbraio 2024