Nilufar Gallery – via della Spiga 32, 20121 Milano, Italia
nilufar@nilufargallery.com
"Ho iniziato nel 1979 con Nilufar, la mia prima galleria specializzata nella ricerca di tappeti di pregio. Da quel momento non mi sono più fermata”
Nata a Teheran 58 anni fa, Nina Yashar si trasferisce nel 1963 a Milano con la famiglia. Studia Storia dell’Arte a Venezia e inizia da giovanissima a collaborare con il padre, grossista di tappeti antichi e moderni. Nina, però, ha un altro gusto. Abbina i tappeti francesi di fine Ottocento con i pezzi di Prouvé e Perriand, i tavoli e le sedie di Gio Ponti e Carlo Mollino, i colori di Sottsass, i disegni di Fornasetti, fino ad arrivare ai totem di Bethan Laura Wood e alle opere di Martino Gamper. Molte le collaborazioni con mercanti d’arte, designer e artisti contemporanei. Curatrice di mostre e cataloghi, organizzatrice, gallerista, è leader indiscussa fra i dealer.
Il lavoro di Nina Yashar si può sintetizzare nel concetto di Crossings – titolo di due mostre Nilufar del 1999 e del 2000. Un gioco di scomposizione e ricomposizione come in un caleidoscopio. Un’estetica data da uno sguardo aperto, non curante delle etichette che riesce a unire culture e momenti storici diversi generando nuove visioni nate dall’estro della gallerista.
“Ho iniziato nel 1979 con Nilufar, la mia prima galleria specializzata nella ricerca di tappeti di pregio, in via Bigli a Milano. Poi nel 1989 mi sono spostata negli spazi in via della Spiga e ho iniziato a proporre i miei tappeti inserendo ogni tanto un quadro dell’Ottocento, perché mi è sempre piaciuto diversificare. Un giorno, mentre mi trovavo a New York, ho visto un tappeto inedito in una vetrina di un noto mercante, ci sono entrata e ho scoperto che si trattava di un tappeto svedese. Due mesi dopo ero in Svezia e ho acquistato diversi tappeti scandinavi. Da lì, ho cominciato a conoscere e acquistare design storico e successivamente mi sono appassionata al design contemporaneo e ho iniziato a produrlo. Da quel momento non mi sono più fermata”.
Lo scorso aprile, Milano ha visto l’apertura dello spazio Nilufar Depot, un magazzino di 1500 mq su tre piani in via Lancetti, sorto in una ex fabbrica per contenere una collezione di almeno 3.000 pezzi.
“Sognavo uno spazio grande, ma non pensavo così grande. È stato concepito come un magazzino, con un’infrastruttura quasi industriale, come le ringhiere smontabili per lasciar passare il muletto. Inizialmente doveva essere uno spazio di puro stoccaggio, dal momento che il mio attuale magazzino si trova a 100 chilometri da Milano. Poi, creando l'allestimento per l’ultimo Salone del Mobile, è piaciuto talmente tanto che mi è stato vietato di farne un semplice deposito. Tutti i giorni accogliamo le persone che vengono qui apposta per noi. Un bell’impegno, insomma”.
In Italia c'è ancora una forte radice culturale che vede il design meramente come oggetto funzionale che non ha il potere di “parlare” a chi ha di fronte esattamente come può fare un'opera d'arte. Non intendo dire che il design non venga apprezzato e capito, ma semplicemente che risulti difficile a molti comprenderne la profondità: ogni oggetto di design risponde ad esigenze non solo pratiche, ma anche spirituali; parla direttamente a chi ne beneficia, parla di chi lo ha progettato, parla di chi lo ha realizzato, con l'aggiunta di un valore d'uso che fa sì che l'oggetto, da contemplativo, diventi partecipativo.
Credo che tra le due discipline, arte e design, ci siano molti punti di incontro ma altrettanti di scontro, e per questo penso che sia sempre un grosso rischio quando un artista si professa anche designer e viceversa. Il confine c'è, anche se è labile. Per questo faccio mie le parole di Gillo Dorfles: 'Il design è "parzialmente" arte, una forma di progettazione con un quoziente artistico assieme ad un quoziente di marketing. L'oggetto di design non deve essere fatto con lo scopo di diventare un oggetto d'arte: deve corrispondere alla sua funzione, non soddisfare lo sfizio di essere solamente artistico'.
“Cercare le novità nel mondo del design è chiaramente un rischio, perché il mercato può non essere pronto. Ma questo è quello che mi è sempre piaciuto fare ed è il mio unico vero lusso. La decisione è sempre personale sulla base di ciò che un designer trasmette attraverso i suoi lavori. Poi entra in gioco l'esperienza maturata negli anni, che mi permette di orientarmi con sicurezza. Faccio quello che desidero fare e seguo il mio desiderio continuo di novità.
Il pezzo più grande che io abbia mai acquistato sono le cento sedie di Martino Gamper. Un acquisto che mi ha procurato un’emozione incredibile. Le ho comprate in pochi secondi, non ho voluto nemmeno guardarle tutte perché le prime mi avevano già conquistato. Ecco, quella è un’opera che collocherei tra arte e design, perché Gamper è stato il primo a utilizzare elementi di riciclo dando vita a un sistema.
Ho sempre cercato di creare collaborazioni che non fossero superficiali ma ricche e produttive, sia per me che per i designer stessi. Mantenendo saldi i rapporti con i progettisti che conosco ormai da tempo in questi anni ho cercato di non perdere le occasioni di incontro e di scoperta: oltre a Martino Gamper, ci sono altri importanti designer come Micheal Anastassiades. Bethan Laura Wood, Osanna Visconti di Modrone, che mi colpiscono sempre per la freschezza e l'estro delle loro creazioni e con cui si creano sinergie molto interessanti.
Le difficoltà ci sono sempre, il rapporto tra gallerista e designer è fatto di amore e di scontri: ma con la ricerca continua di ciò che è innovativo, e con l'apertura costante verso ciò che ancora non conosco, sono sempre riuscita a superarle e a trovare la giusta sintonia”.
“Penso che Milano stia vivendo un momento di grande evoluzione, anche grazie a luoghi come la Fondazione Prada, che attualmente è forse il polo artistico-culturale più importante della città. Secondo me, sta tornando un fermento, una specie di Rinascimento. Sono molto affezionata a questa città e per questo sono contenta di vedere Milano in grande trasformazione e fermento.
Da Expo in avanti, noto che tutti si stanno muovendo per migliorare e per offrire novità in primis ai cittadini della città e a tutti coloro che verranno per visitarla. Penso che il Fuorisalone sia una delle attività più importanti che permette di coinvolgere tantissime persone. Un grande punto a favore credo che siano le sinergie e le collaborazioni. Uno spunto per far nascere relazioni e progetti creativi e innovativi che arricchiscono chi li realizza e chi ne beneficia.
Confido che anche quest'anno la Milano Design Week possa rivelarci qualcosa di nuovo e originale, e non solo rielaborazioni. Tra Salone e Fuorisalone scelgo sicuramente il fuori! Consiglio sempre di selezionare con cura gli eventi, scegliendo poche cose ma buone, per poterle gustare al meglio e divertirsi. Al Salone, ho imparato che fare una selezione a monte dei luoghi da visitare è importante, perché l’offerta di novità è molteplice e il Salone viene utilizzato spesso per mostrare progetti che diversamente non verrebbero esposti. È importante che l'occhio sia addestrato a non essere confuso dalla quantità di proposte.
Da non perdere alla Design Week 2016? Ovviamente la mostra Nilufar - Brazilian Design, in galleria Nilufar, via della Spiga 32”.