La designer ci racconta i suoi progetti, in cui contaminazioni tra culture e materiali diversi uniscono il product design a storie uniche e autentiche
Federica Biasi, classe 1989, designer visionaria e appassionata ricercatrice, ha fondato il suo studio nel 2015 dopo aver vissuto nei Paesi Bassi. La sua ricerca unisce tradizione artigianale e design industriale, esplorando materiali e tecniche di diverse culture. Tra le sue collaborazioni figurano brand come Nespresso, Gervasoni e Lema, e tra i suoi progetti recenti spiccano il coffee table Koya per Incalmi e il tavolo Zenith per Movimento Gallery. Con un approccio multidisciplinare, Federica continua a esplorare nuovi orizzonti nel design industriale e nel collectible. Parliamo con lei del significato di “Mondi Connessi” e di come questo tema si riflette nei suoi progetti.
Il tuo lavoro unisce tradizione e manifattura di diverse culture, in particolare quelle nordiche, asiatiche e italiane. Come riesci a connettere questi mondi apparentemente distanti, e quale valore attribuisci a questa fusione culturale nel design?
Sono anni che mi occupo di industrial e furniture design e mi sono chiesta come posso far si che - attraverso il mio lavoro - l’artigianato non si perda, ma che anzi possa essere parte del processo e del prodotto finale. Ho deciso di avvicinarmi alla storia, di approfondire tutto ciò che non è dato per scontato o che si trova sui libri. Mi interesso di antropologia cercando di capire cosa abbiamo fatto, perché lo abbiamo fatto, e cosa possiamo ancora fare.
Zenit, Movimento Gallery. Photo courtesy of Federica Biasi
Tra design e artigianato quindi per te che “connessione” sussiste?
Io credo che il mondo dell’arredamento non sia poi così distante dall’artigianato. È una mia volontà, quasi un memento, per ricordarmi che il saper fare è nelle nostre mani e che l’artigianato non può andare perso, perché è parte della nostra storia. Nonostante in questa società la produzione in serie e l’industria siano fondamentali, non significa che non possano integrarsi con le nostre radici e con una parte di artigianato. Cerco sempre di non far prevalere nessuno dei due mondi, ma di dare a entrambi grande importanza. A volte, a livello estetico, uno dei due prende il sopravvento, ma a livello progettuale c’è sempre una forte intenzione di integrazione.
Solleone designed for Imnativ. Photo courtesy of Andrea Pugiotto
In un’epoca in cui il product design sta sempre più integrando valori di sostenibilità come pensi che i designer possano contribuire a creare un legame più profondo tra le tradizioni locali e le tendenze globali, mantenendo una narrazione autentica nei loro progetti?
Credo che il concetto chiave sia proprio questo: produrre meno e meglio. Se guardiamo indietro, vediamo come l’artigianato sia stato maestro in questo. Serve tempo, non solo per produrre un oggetto, ma anche per concepirlo. La sostenibilità nasce dal pensiero dietro un oggetto, non solo dal suo processo produttivo. L’industria può supportarci, non solo con la produzione massiva, ma anche con un’ottimizzazione intelligente delle risorse.
Kimono Collection. Photo courtesy of Louise de Belle
Quest’anno porterai alla luce nuovi progetti nel campo del design industriale e del collectible, oltre a un nuovo libro che documenta le tue ricerche. Come vedi l’evoluzione del rapporto tra il prodotto e il suo valore emozionale o narrativo, soprattutto in una fase in cui la storia dietro a ogni pezzo sembra essere sempre più centrale?
L’autenticità di un progetto si manifesta quando riesce a raccontare il percorso di chi lo ha creato, non quando si limita a integrare i valori della società. Ci sono stati periodi in cui l’interpretazione della società e della comunità erano fattori trainanti del design. Oggi non basta più. È necessario trasmettere valori e pensieri personali, con coerenza nel tempo. Il valore emozionale e narrativo è importante, ma non è tutto: la narrazione deve essere autentica, deve raccontare l’impegno. La manifattura è, a mio avviso, il modo contemporaneo in cui il design può differenziarsi.
Lina designed for Pianca. Photo courtesy of Alberto Strada
Che consiglio daresti oggi a uno studente universitario di product design? Cambieresti qualcosa nel tuo percorso?
Non mi pento del mio percorso, e anzi, lo sto ancora costruendo. Sicuramente consiglierei di iniziare a lavorare il prima possibile. Questo non è un settore in cui i libri possono sostituire l’esperienza diretta. Serve immergersi con mente e mani nel processo.