"Non mettiamo la tecnologia al centro del nostro lavoro, ma cerchiamo di utilizzarla avendo sempre come misura l’uomo e l’equilibrio delle sue azioni in un’ottica di sostenibilità e con un approccio che, come rivela il nome, ci piace definire mediterraneo."
Design computazionale e digital fabrication sono gli strumenti per una produzione sostenibile che Medaarch, società e studio multidisciplinare attivo da Cava de’ Tirreni in tutta Italia, ha scelto come campo d’elezione per i suoi progetti di design e di architettura. Ne abbiamo parlato con il cofounder Amleto Picerno Ceraso.
Che cosa è Medaarch e perché avete scelto il design computazionale e la digital fabrication?
Medaarch è una società e uno studio di progettazione e consulenza nato nel 2007 a Cava de’ Tirreni, a pochi chilometri dalla Costiera Amalfitana. Lavoriamo con l’innovazione per creare un impatto positivo per le città, l’architettura e il design. Il nostro è un atelier di progettazione che usa il digitale e le nuove tecnologie come strumenti per migliorare la qualità dei progetti che realizziamo. Non mettiamo la tecnologia al centro del nostro lavoro, ma cerchiamo di utilizzarla avendo sempre come misura l’uomo e l’equilibrio delle sue azioni in un’ottica di sostenibilità e con un approccio che, come rivela il nome, ci piace definire mediterraneo.
In quali progetti recenti è più visibile il vostro approccio?
Lavoriamo a tutte le scale, dal design all’architettura, in ambedue i casi le nuove tecnologie digitali stanno cambiando le regole del gioco. La città cambia in tutti i suoi aspetti grazie alla rivoluzione che il digitale è capace di creare se utilizzato in maniera critica. Ad esempio, a Cattolica, una delle capitali della Riviera Romagnola, stiamo riprogettando il lungomare utilizzando le nuove tecnologie, adottate per i sistemi di monitoraggio ambientale e il ricorso a fonti energetiche alternative, integrandole tuttavia in una visione umanistica. Ovvero, abbiamo mitigato l’istinto di connettere tutto per rendere tutti più smart ed efficienti con una tensione progettuale che mira alla ri-naturalizzazione dell’intera area. Ne è venuto fuori un progetto che dal mare si spinge verso la città antropizzata cercando di instaurare ogni volta, per ogni singolo spazio architettonico, un ‘patto’ tra natura, uomo e tecnologia, nell’obiettivo finale di restituire alla città la vista del mare. A Roma, invece, da due anni progettiamo le installazioni luminose natalizie in centro storico, un’installazione con una grande vocazione artistica e fortemente evocativa concepita per sposare la sostenibilità energetica. Ne è nata una narrazione di luce e immagini per un kilometro e mezzo in una delle strade più famose del mondo, realizzata con 190 kilometri di fibra ottica, schermi led e una app per l’interazione con il pubblico.
Made in Italy e manifattura digitale: come si incontrano questi due mondi?
Tutta la miglior manifattura che produciamo e che il mondo conosce con il brand Made in Italy vive ormai della sintesi analogico-digitale. Il digitale ha in qualche modo reso possibile questa nuova visione olistica della produzione riportando alla luce modalità e approcci tipici della bottega rinascimentale Italiana. In tutto ciò la nostra manifattura non solo non vede alterato il suo patrimonio genetico, ma anzi lo vede implementato di uno strumento che ne amplifica le potenzialità congenite. Nel nostro lavoro quotidiano, il digitale è presente attraverso i software di progettazione collegati alla stampa 3D in cui iniettiamo il frutto delle ricerche, nostre o in collaborazione con i partner, per esempio sui nuovi materiali sostenibili, dalle ecopelli al GreenWood che impiegheremo a Cattolica, composto da farina di legno grezzo e da una componente plastica poliolefinica ed ecologica. Per il Museo Archeologico Nazionale di Napoli, invece, abbiamo riprodotto le opere con la stampa 3D per un percorso tattile dedicato ai ciechi.
Da anni si parla di rivoluzione della stampa 3D, ma non sembra che questa abbia ancora dato i suoi frutti maturi. Perché?
L’uso standardizzato di tecnologie digitali all’interno della realtà manifatturiera italiana non è di facilissimo innesto e sicuramente non è indolore. Il punto non è tanto la mancanza di risorse (agevolazioni e incentivi non mancano) quanto la mancanza di un fattore ben più scarso e cruciale: il tempo. Il solo acquisto della tecnologia non risolve i problemi di produzione, né rende di per sé più competitiva un’azienda. Anche per questo è nato il Cad, il Centro per l’artigianato digitale che abbiamo fondato e dove ogni anno trovano posto quindici artigiani tradizionali che qui, negli spazi provvisti di fab lab e di ogni tecnologia necessaria, diventano artigiani digitali. Dalla bottega rinascimentale a quella tecnologica, insomma, ma sempre puntando sul fattore umano.
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© Fuorisalone.it — Riproduzione riservata. — Pubblicato il 12 aprile 2021